FRANCESCA SINISCALCHI

LA DEMOCRAZIA DELIBERATIVA:
CRISI DELLA RAPPRESENTANZA POLITICA E TENTATIVI DI INTEGRAZIONE DELLA RAPPRESENTANZA ELETTIVA

SOMMARIO: 1. Premessa. – 1.1. La grande trasformazione: secondo atto. – 1.2. Legalità e legittimità nel 21° secolo – 1.3. Contro le elezioni: salus ex munere alieno? – 2. Integrazione della rappresentanza elettiva: il laboratorio Irlanda. – 2.1 La Constitutional Convention del 2012. – 2.1.1. Composizione della Convention. – 2.1.2. Il processo deliberativo. -2.1.3. Mandato della Convention. – 2.1.4. Il dibattito parlamentare sulle raccomandazioni della Convention e l’esito finale. -2.1.5. La Citizens’ Assembly del 2016. – 2.1.6. La Citizen’s Assembly del 2019. – 3. Conclusioni.

Abstract

L’articolo intende presentare alcune esperienze istituzionali recenti intese al rafforzamento della legittimazione della rappresentanza politica. Tali esperienze sono state elaborate all’alba del 21° secolo in risposta a una crisi conclamata della forma di stato democratica nata all’indomani del secondo conflitto mondiale (intesa qui in entrambe le sue declinazioni liberal-democratica anglosassone e democratico-sociale nell’Europa continentale).
La forma di Stato democratico-sociale coincide, in una prospettiva storica, con il periodo del secondo dopoguerra e con la nascita e il consolidamento del progetto di Unione Europea (lasciando da parte il caso americano, troppo peculiare nella sua evoluzione storica e costituzionale). La crisi del “welfare State”, divenuta evidente a seguito della grande crisi finanziaria del 2008, ha svelato, da un lato, la fragilità istituzionale indotta dai meccanismi elettorali (basati sul suffragio universale) mediante i quali si è esplicata la rappresentanza politica nel ventesimo secolo, dall’altro ha esposto la fragilità dello stesso corpo politico statale dinanzi a eventi dirompenti di portata transnazionale, che assumano la forma di crisi finanziarie, economiche, politiche o ambientali (recentissimamente, si è visto, sanitarie). La crisi, che definiremo di legittimazione, non ha inoltre risparmiato le istituzioni transnazionali di “governance” a cui i corpi politici nazionali delegano la risoluzione consensuale delle crisi globali, laddove i governi presentano al contempo all’opinione pubblica la stessa partecipazione a tale “governance” transnazionale come fattore di ineluttabilità di soluzioni che spesso hanno pesanti ricadute sul tessuto sociale.
Tale crisi ha causato un’accelerazione impressa dai movimenti populisti (organizzati in partiti autoproclamatisi interpreti dello scontento sociale, automaticamente trasfigurato in “volontà popolare”) verso lo smantellamento sistematico delle istituzioni espresse dal meccanismo elettorale, in una sorta di luddismo istituzionale ispirato a un palingenetico ritorno alla pretesa immediatezza dell’espressione della volontà popolare mediante meccanismi postmoderni (ma assai antichi). L’articolo non intende soffermarsi sulla natura profondamente reazionaria di tale approccio, quanto invece presentare alcune esperienze di integrazione della rappresentanza politica (note sotto il termine di “democrazia deliberativa”, o anche “partecipativa”) che sono state discusse negli ultimi vent’anni in ambienti accademici permeati di pragmatismo e al contempo di lealtà istituzionale e democratica. La “Citizens’ Assembly” introdotta in Irlanda nel 2012 per orientare il dibattito parlamentare su importanti temi di riforma costituzionale (che avrebbero condotto alla legalizzazione dell’aborto e del matrimonio omosessuale negli anni successivi) qui descritti non sono proposti come un modello immediatamente trasferibile tel quel a qualsiasi realtà politico istituzionale, bensì’ come un esperimento non distruttivo di integrazione della legittimazione e del meccanismo elettorale, che consenta un riavvicinamento e un dialogo permanente tra cittadini elettori e istituzioni rappresentative.
Al di fuori dei pur necessari tecnicismi istituzionali (il procedimento come garanzia di legalità e quindi di legittimità), il tentativo della democrazia deliberativa è rendere palese la legittimazione dei meccanismi decisionali rappresentativi, affinché la necessaria governance della complessità che minaccia di disintegrare le società democratiche del 21° secolo torni ad essere parte integrante della res publica.

The purpose of this article is to illustrate recent institutional experiences intended to reinforce the legitimacy of political representation. Such proposals have been elaborated at the onset of 21st century as an attempt to counter an undeniable crisis of democracy as state organisation form as we know it since the end of WWII (both in its Anglo-Saxon liberal-democratic and continental European social-democratic declinations).
In a historical perspective, post-war political democracy as we know it coincides with the aftermath of WWII and with the birth and consolidation of the European Union project (US experience is not considered in this analysis, due to its historical and constitutional peculiarities). The crisis of the welfare State became evident after the 2008 financial crisis, revealing, on the one hand, an institutional fragility prompted by the same election mechanisms (based on universal suffrage) that had supported political representation in the 20th century, and the fragility of the State itself as political body confronted with ground-breaking events, be these financial, economical, political, environmental or sanitary (as latest shown), on the other hand. Such “legitimacy crisis” did not spare transnational governance bodies and institutions, to which national political bodies (States) have been delegating the resolution by consensus of global crisis. At the same time, State governments have been suggesting to the public opinion that precisely the participation to these transnational entities makes adopted solutions, notwithstanding heavy societal repercussions, unavoidable.
This crisis has caused an acceleration by “populist” movements and parties (as self-proclaimed interpreters of social dissatisfaction turned into “will of the people”) towards the systematic dismantling of the institutions expressed by elections, a kind of institutional Luddism, dictated by a palingenetic aspiration to an asserted immediate expression of the “will of the people” by means of postmodernist simulacra of referendum. This article hints at the deeply reactionary nature of the “populist” approach and it intends to illustrate some examples of integration of representative democracy (known as “deliberative democracy”, or also “participative democracy”) as discussed in the last two decades in academic and political networks. In these examples the pragmatic solutions brought forward are loyal to, not countering, democratic institutions. The “Citizens’ Assembly” introduced in 2012 in Ireland to steer the parliamentary debate on important constitutional amendments (leading i.a. to legal abortion and gay marriage) described hereunder is not as a “one size fits all” model, but rather as a “non destructive assay” for “legitimacy integration” of the electoral mechanism, in order to foster a convergence and a permanent dialogue between citizens/voters and representative institutions.
Apart from the necessary institutional mechanisms (procedures as guarantors of legality and legitimation), the attempt of deliberative democracy experiments is to show (re-present) the legitimacy of decision-making based on representation, in order for governance mechanisms (necessary to approach the threatening complexity democratic societies face in 21st century) to exist as an integral part of the res publica.